Pane per tutti
di Mauro Capocci
Tutto inizia con la passione per il pane, di ogni tipo, per ogni uso.
In famiglia mai è mancata la fetta per far scarpetta, o per spingere le foglie di insalata, o per la colazione con marmellata, né il pane per il pane, assoluto, libero da interferenze e utilitarismi di sorta.
Individuare il miglior posto dove comprare il pane è per me una delle prime esplorazioni dopo i traslochi o in viaggio, quando spesso l’aspetto dell’alimento base cambia, si moltiplica in forme e sapori.
Così è iniziata anche la produzione casalinga di pane, filoni pagnotte panini, all’olio al latte all’uovo, candido, beige o quasi nero. Per usare la farina di frumento, quella bianca e d’uso comune, di grano, nessun problema : acqua, il cubetto di lievito rianimato prima con l’acqua calda, un po’ di sale, e forza delle braccia (ché la macchina fa risparmiare tempo, ma toglie piacere e romanticismo…). Le ricette, sui libri e on line, sono tante. Poi son passato al grado di difficoltà superiore : basta con il lievito industriale, e largo alla pasta madre. Una dipendenza (la pasta madre non la puoi lasciare lì a lungo, la devi usare ogni settimana, o muore) presto finita per mancanza di tempo e disorganizzazione.
E allora son tornato a ricette di pane più rapide, ma soprattutto alla sperimentazione di tante farine diverse e ai tentativi per un pane senza glutine.
Se vai alla cena di Natale in famiglia, il pane deve essere per tutti, lungo tutto lo spettro della varietà umana, e quindi via alle prove.
Il primo tentativo, nonostante tutti l’avessero sconsigliato, fu il pane fatto con sola farina di grano saraceno (il quale non è un cereale, e infatti non ha glutine). Acqua e sale, cerco la giusta consistenza della pasta, si lascia al calduccio a lievitare, ma niente: il risultato è un mattoncino bruno-grigiastro, a lievitazione pressoché nulla. Se anche il Saccharomyces cerevisiae (il microrganismo responsabile della lievitazione) era sopravvissuto, non mostrava segni di sé, né in termini di bolle né di sapore. Il risultato era buono per mettere chiodi nel muro e per il mestiere di dentista.
Altri errori da principiante si sono susseguiti: usare kamut e farro, ignorando che le intolleranze al glutine e la celiachia non ammettono questi cereali, o riprovare con sola farina di mais, generando una polenta al forno con retrogusto di lievito di birra.
Ok, mi sono detto, basta con i tentativi a occhio: un po’ di studio, ricerche on line e su ricettari.
Ho trovato sul web uno spunto interessante: mescolare farina di riso e fecola di patate. Niente glutine, ma (pare) zuccheri in abbondanza per far moltiplicare il lievito (e quindi per la formazione delle bolle di biossido di carbonio che gonfiano l’impasto) e la consistenza giusta per intrappolare queste bolle.
Anche qui i tentativi sono stati numerosi: la farina di riso, essendo senza glutine non raggiunge l’elasticità tipica del pane, e quindi la quantità d’acqua va modulata accuratamente, senza farsi prendere dalla fretta. E la lievitazione è meglio farla in un recipiente dai bordi alti, altrimenti si avranno delle focaccine: buone e croccanti, ma sottili.
La ricetta base è mezzo chilo abbondante di farina di riso (che può essere ottenuta semplicemente macinando il riso comprato intero), più 180-200 gr. di fecola di patate, con 50 gr di lievito di birra, sale a piacere e un po’ di olio (iniziare con un paio di cucchiai) nell’impasto e come spennellatura finale in cottura. Con il lievito chimico non ho mai provato, ma le conversioni sono in genere piuttosto semplici: una bustina di lievito chimico equivale a un cubetto di lievito di birra del supermercato (miracoli della standardizzazione).
Con il lievito di birra, gli ingredienti vanno impastati tutti insieme per un tempo piuttosto limitato. L’assenza di glutine infatti non richiede l’energica manipolazione tipica delle farine di frumento, dalle quali bisogna “spremere” fuori le proteine. Con il riso, si deve solo far assorbire il liquido alla farina, fino a ottenere un impasto di giusta consistenza: pochi minuti di lavoro. Il tempo di lievitazione è quello “classico”, circa un’ora, fino al raddoppio del volume (più o meno). Dopo la prima lievitazione, si divide la pasta nelle forme volute direttamente nella teglia/contenitore dove verranno cotte (possibilmente con carta da forno sotto: il silicone tende a dare un leggero sapore e a scaldarsi poco, quindi per questi usi è meglio un metallo coperto con la carta forno). 40-50 minuti di ulteriore riposo e lievitazione, spennellate con un po’ d’olio (o uovo, magari con qualche semino di papavero o sesamo), e via in forno molto caldo (250°C) da abbassare (a 200°C circa) appena il pane viene messo dentro.
Qui le cose cambiano a seconda della forma di pane: panini piccoli e sottili si fanno in 15-20 min, mentre pagnotte più spesse richiedono più tempo. Per evitare di seccare il risultato, si può mettere nel forno un pentolino d’acqua. Aiuterà non solo a ottenere un prodotto migliore, ma anche a conservarlo più a lungo. La conservazione dipende infatti dall’umidità: a seconda del clima di casa saprete scegliere il luogo più fresco e umido, magari usando una sporta di tela o un canovaccio per mantenerlo. Estremo rimedio può essere il frigo, ma a me non piace (si accumulano ogni tipo di odori): a mio parere meglio il congelatore.
La farina di riso si è quindi rivelata una preziosa scoperta: si può usare in decine di preparazioni a sostituzione della farina di frumento. Ha un gusto più sottile e può rendere il risultato molto soffice, anche se ha bisogno di maggiore cura nell’aggiunta dei liquidi: come detto, il riso forma una pasta di consistenza molto differente dalle altre farine, e quindi non si deve aver fretta di aggiungere altra farina se l’impasto sembra troppo liquido (e all’inizio in genere la pasta appare davvero troppo lenta).
Insomma, da amante del pane e panificatore dilettante, è stato molto gustoso affrontare questa sfida. Il risultato finale ha ancora ampi margini di miglioramento (e non dubito che le lettrici e i lettori saranno in grado di perfezionare i procedimenti), ma intanto le soddisfazioni non mancano, sia per la passione personale che per il palato.
Se ogni cultura ha il suo pane, ogni ricetta personale è un arricchimento culturale : per chi lo fa e per chi lo assaggia.